Anna Fraioli

Sceneggiatrice, commediografa, attrice e regista teatrale.

Laureata in Giurisprudenza a Sapienza Università di Roma, il suo interesse e la passione per le scienze umanistiche e per ogni forma d'arte, la costante attenzione ai percorsi di crescita individuale e agli aspetti meditativi di derivazione orientale, la sua attrazione per la contaminazione tra differenti discipline, la portano a intraprendere un'articolata formazione artistica e olistica.
Completa gli studi in Mindfulness, quelli musicali e teatrali, prosegue il suo percorso laureandosi in Lettere e Filosofia presso Sapienza e si specializza nelle discipline relative alle Scienze dello Spettacolo.
Approfondisce gli studi sul comico, che diventa un suo preciso oggetto di ricerca e sperimentazione che la porta, tra l’altro, a fondare laboratori creativi sulla comicità e a dirigere alcuni spazi teatrali della Capitale.
Dopo aver lavorato in varie produzioni come attrice, attualmente è sceneggiatrice e regista.

Il Metodo Bottega

di Anna Fraioli Wildon

La magia del teatro nasce nel momento in cui, sulla scena, l’attore diventa “altro”, quando, cioè la sua identità reale è sostituita da quella di un personaggio fittizio.

Già all’inizio delle mie esperienze, soprattutto nella mia attività di sceneggiatrice, avevo avuto modo di osservare come i personaggi fossero mossi da desideri, bisogni, ambizioni, sentimenti, emozioni, tormentati da ricordi, sensi di colpa, gioie improvvise... proprio come le persone che mi circondavano. Ne rimasi affascinata proprio per il loro “essere umani”. Cominciai così a chiedermi: «E allora come mai per un attore è così difficile dar vita a un personaggio, trasformarsi in qualcuno che, in fondo, può essere diverso ma non è poi così lontano da sé»?

Dopo varie sperimentazioni, ho capito che la vera difficoltà nasceva dal fatto, diffuso, di non riuscire a (com)prendere il punto di vista altrui, di non penetrarlo fino in fondo perché è difficile staccarsi dal proprio angolo visuale.
Il nostro modo di vedere le cose, infatti, è frutto di tutta una serie di condizionamenti (dalla famiglia in cui siamo nati al luogo fisico in cui viviamo, dalla società alla scuola, dalle nostre abitudini generali fino a quello che mangiamo e via dicendo), che ci fanno vedere il mondo e gli altri attraverso il filtro de nostri “occhiali” personali.
Ho cominciato, quindi, a lavorare su questi aspetti per rendere gli attori consapevoli di questo processo.
Analizzando da vicino i meccanismi spontanei comuni a ogni essere umano sono riuscita a trasformarli in un approccio sistematico all’arte dell’attore.

Ho così elaborato un metodo che passa attraverso vari stadi, ognuno dei quali è composto, a sua volta, di altri step. In modo molto sintetico:

Consapevolezza:

prendere consapevolezza dei propri condizionamenti. Nucleo di questo processo è il lavoro sul corpo. Il corpo è depositario, infatti, di un sistema di atteggiamenti e posture che sono la sedimentazione di ciò che siamo. La nostra postura racconta. Esercizio principale di questa fase, di mia elaborazione, è quello che chiamo “Dell’esagerazione” che dà risultati sorprendenti.

Liberazione dai condizionamenti:

in questa fase si arriva a liberarsi, a comando (da parte dello stesso attore, quindi con una procedura ripetibile), dai condizionamenti posturali, si acquisisce la capacità di gestire il corpo e di renderlo “neutro” e pronto ad assumere la fisicità del personaggio, che, per lo stesso principio, è idoneo a raccontare la sua storia. Se l’attore mantenesse la propria personale postura, sarebbe riconoscibile anche se fosse completamente mascherato, quindi completamente inefficace, non credibile; qualsiasi tecnica recitativa non avrebbe effetto;

Connessione tra aspetto posturale ed emozioni:

in cui si acquisisce la consapevolezza della connessione tra l’aspetto posturale e le emozioni. Esercizio principale di questa fase, di mia elaborazione, è “La postura nei proverbi e nei modi di dire”, attraverso cui, partendo dalla saggezza popolare contenuta nei modi di dire diffusi e collegati al corpo (si pensi, per esempio, al detto “Avere le farfalle nello stomaco”), si compiono una serie di esperienze sulla relazione tra emozione e fisicità con la possibilità di attivarla a comando e quindi di utilizzarla, velocemente, per il proprio personaggio.

Lavoro dell’attore su di sé:

è centrale nel percorso.
In questa fase l’attore si abitua prima di tutto a uscire da una tendenza all’autorefenzialità in favore di un atteggiamento di apertura verso il personaggio e nei confronti del pubblico (il cui bisogno è vedere un personaggio sul palcoscenico e non un attore bravo a emozionarsi).
Esercizi principali di questa fase, di mia elaborazione, sono quelli dell’ “Esatto opposto” e de “I fili del vizio”.
L’ironia è parte fondamentale di questa fase. La ricerca sul meccanismo della risata mi ha portato, infatti, a capire come la risata sia lo strumento principe per mettere distanza tra sé e i propri “vizi” fino a guardarli da fuori e quindi a liberarsene. Mi accorgo che il processo è compiuto quando l’attore assume un’espressione precisa che si trasforma in risata che gli provoca uno scintillio particolare negli occhi, segno che la sua coscienza sta “prendendo in giro” la personalità.
L’utilizzo dell’ironia e della risata è uno strumento eccellente anche per costituire la comunità, il gruppo di lavoro. Questa fase del lavoro dell’attore su di sé è centrale, contiene vari step e l’utilizzo di tanti strumenti. Fa arrivare alla consapevolezza che la conoscenza di sé è fondamentale per diventare bravi attori e questo ha come conseguenza, altresì, un percorso di crescita personale in cui l’attore scopre cosa lo stimola, cosa lo motiva, impara a usare i propri demoni per conoscere se stesso e incanalare le energie. Questo gli consente di affrontare senza ansia il palcoscenico, di essere consapevole della sua funzione, e di affrontare con grande centratura questioni personali, affrontare il lato oscuro di sé, le paure, le convinzioni, l’ego che, anzi, diventano colori con cui dipingere i propri personaggi e gestire tutte le questioni legati alla messa in scena.

Studio della sceneggiatura:

in modo da individuare bisogni, desideri, paure e tutto quello che riusciamo a recuperare del personaggio dal punto di vista fisico, emotivo e mentale.

Acquisizione del punto di vista del personaggio:

che dopo le varie fasi del lavoro giunge naturalmente e senza tracce di giudizio verso il personaggio.

Individuazione delle caratteristiche personali dell'attore

che possono essere utili al personaggio per imprimergli un’impronta personale; questo rende l’interpretazione intensa e tipica di quell’attore; in questa fase si lavora per individuare e liberare la creatività, cercare le caratteristiche specifiche di ciascun attore con pratiche/esperienze/esercizi che rafforzano la parte artistica, l’unicità dell’attore e la fiducia in sé.

Acquisizione degli strumenti recitativi

utili per dare corpo al personaggio che consentono di arrivare in modo naturale alla messinscena di uno spettacolo.

Messa in scena dello spettacolo.

È fondatrice dell’etichetta de La Bottega dell’Attore di Roma, direttore e docente di laboratori di sperimentazione teatrale.

Un signore che di teatro se ne intendeva, certo Molière, diceva:

Quando vai a teatro e vedi una tragedia, ti immedesimi, partecipi, piangi, piangi, piangi, poi vai a casa e dici:come ho pianto bene questa sera! e dormi rilassato. Il discorso politico ti è passato addosso come l'acqua sul vetro. Mentre invece per ridere ci vuole intelligenza, acutezza. Ti si spalanca nella risata la bocca, ma anche il cervello e, nel cervello, ti si infilano i chiodi della ragione.

Dario Fo